I nomi sono
simboli semplici; io li indico mediante lettere dell'alfabeto singole ("x", "y", "z").
La
proposizione elementare la scrivo quale funzione dei nomi nella forma: "fx",
"φ(x,y)", etc.
Oppure la
indico mediante le lettere p, q, r.
4.241 Se uso due segni in uno stesso significato, esprimo
ciò frapponendo tra l'uno e l'altro il segno "=".
"a=b" vuol dunque dire: Il segno "a" è sostituibile dal
segno "b".
(Se introduco mediante un'equazione un nuovo segno "b",
determinando che esso deve sostituire un segno "a" già noto, scrivo
l'equazione - definizione - (come Russell) nella forma "a=b Def.". La
definizione è una regola dei segni.)
4.242 Espressioni della forma "a=b" sono dunque
solo espedienti di rappresentazione; nulla esse enunciano sul significato dei
segni "a", "b".
4.243 Possiamo comprendere due nomi senza sapere se essi
designino la stessa cosa o due cose diverse? - Possiamo comprendere una
proposizione, ove occorrono due nomi, senza sapere se essi significhino lo
stesso o altro?
Se, ad esempio, conosco il significato d'una parola inglese
e d'una parola
tedesca d'egual significato, è impossibile che io non sappia che le due parole
sono d'egual significato; è impossibile che io non possa tradurle l'una
nell'altra.
Espressioni come "a=a" o da queste derivate, non sono né
proposizioni elementari né segni altrimenti muniti di senso. (Questo si
mostrerà più tardi.)